Negli ultimi anni l’Autolesionismo è diventato un fenomeno tristemente diffuso tra gli adolescenti già a partire dai 12-13 anni di età. La condotta autolesiva viene attuata dall’adolescente per spostare il dolore emotivo su quello fisico.
Cosa è l’Autolesionismo?
Secondo il DSM-5 (2013), il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali include “Autolesionismo non suicidario” come categoria diagnostica distinta. Lo definisce come una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno.
Esistono differenti condotte autolesive:
- Cutting: tagliarsi con un oggetto affilato.
- Burning: provocarsi bruciature o ustioni.
- Branding: marchiarsi con oggetti roventi.
La condotta autolesiva per essere tale deve essere preceduta da una o più delle seguenti aspettative:
- ottenere sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo;
- risolvere una situazione relazionale;
- indurre una sensazione positiva.
Gli oggetti utilizzati dai ragazzi sono lamette o arnesi appuntiti o taglienti per graffiarsi, tagliarsi (cutting) e ferirsi, possono bruciarsi con accendini oppure si colpiscono, sbattono i pugni o altre parti del corpo su pareti, muri, vetri. Le ferite spesso non sono visibili e sono coperte da abbigliamento e accessori, ma possono anche essere inferte nelle parti intime.
I genitori non si accorgono subito del comportamento dei figli poiché non riconoscono i segnali di allarme.
Perché l’adolescente attua un comportamento Autolesionista?
All’origine del comportamento autolesionista vi è un dolore emotivo non espresso, con il quale l’adolescente si ritrova a doversi confrontare. La non espressione di un disagio emotivo dovuto a molteplici ragioni, lo porta a cercare un modo per gestirlo. Spostare il suo focus su qualcosa di reale come il dolore fisico produce nell’adolescente due reazioni: la prima è quella di sentire di poter controllare il dolore, la seconda non affrontare il vero disagio.
Il pensare di poter controllare il dolore produce l’effetto anestetico sul dolore emotivo ricadendo su quello fisico, più gestibile attraverso del disinfettante, cotone e cerotti. Qualunque condotta autolesionistica consente di spostare la propria attenzione sul dolore fisico, non occupandosi di quello emotivo, da cui alla fine si genera tutto.
Il non affrontare il disagio emotivo per l’adolescente rientra in un’ idea più accettabile di Sé stessi. “Sono una persona capace di gestire la mia vita.”. Questa realtà piace anche ai genitori che spesso faticano ad accettare che nella famiglia ci siano problemi psicologici o relazionali.
Cosa possono fare i genitori?
Il genitore quando scopre un comportamento autolesionista da parte del figlio, reagisce con iniziale preoccupazione seguita poi dal senso di colpa per non essersi accorto prima.
Innanzitutto bisogna capire le motivazioni che hanno portato l’adolescente ad attuare un comportamento di gestione del dolore interno con questa modalità. Il non cercare altre strategie più “sane” è dovuto a l’innescarsi di un circolo vizioso più adrenergico. Infatti causandosi dolore fisico l’adolescente abbassa i livelli di compressione interna e ha una sensazione transitoria e illusoria di energia, la quale lo porta a sentirsi ricaricato innescando un circolo vizioso, per cui successivamente diventa un’esigenza.
Il fenomeno può essere spiegato anche sul versante neurofisiologico: il dolore stimola la produzione di adrenalina. Infatti c’è un’evidenza biologica che tagliarsi e bruciarsi possa rilasciare nel cervello oppiacei naturali e altre sostanze chimiche, creando una dipendenza e un ciclo di astinenza.
L’adolescente necessita di riconoscere i propri stati emotivi, i propri bisogni così da uscire dalla “disregolazione emotiva” nel quale è finito; intraprendendo una strada per il futuro tramite un percorso psicoterapeutico mirato.